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LUNEDI’ 12 AGOSTO
 

Seconda giornata di transizione. Dopo la messa, celebrata all’aperto, i bambini sono stati impegnati nell’incontro fra i professori ed alcuni genitori venuti a fare delle donazioni per la ricostruzione del dormitorio (maschile, e non femminile, a differenza di quanto avevamo capito inizialmente). Padre Christopher ha raccolto l’equivalente in scellini di 1400 euro con i quali dare il via alla ricostruzione; ma la vera priorità di questa scuola è risolvere il problema della mancanza dell’acqua, come abbiamo capito oggi.

IL FATTO DEL GIORNO – I nomi dei bambini del villaggio, in kalenji, sono spesso difficili da comprendere e ricordare. Abbiamo quindi iniziato a trovare loro dei soprannomi coi quali identificarli: Ciucciolo, Ruotolo, Ciabattolo, e via dicendo, in base ad una loro caratteristica; Ruotolo, ad esempio, è un bambino che gioca con la ruota, Ciabattolo un bambino che perde spesso la sua ciabatta, che è di un numero troppo grande per lui. Rimasti presso la casa di Padre Christopher per finire di preparare alcune attività da svolgere nei giorni seguenti, Renato e Francesco in mattinata hanno ricevuto la visita di Ciucciolo, un bambino di cinque anni che abita in una capanna vicina. Prima li ha chiamati da dietro il filo spinato che funge da recinzione, poi, avendo notato la porta aperta, è passato attraverso lo stesso e si è avvicinato sino alla soglia di casa. Dopo averlo fatto entrare per un momento, Francesco l’ha portato fuori a giocare nel prato per qualche minuto; rientrato in casa, il bambino l’ha seguito e si è seduto vicino a Renato per osservare le fotografie sul computer. Ciucciolo rideva, ritrovando sullo schermo le immagini dei suoi amici del villaggio, sino a quando Renato ha detto a Francesco: “E’ quasi mezzogiorno, diamogli qualcosa da mangiare”. Francesco ha preso 1 dei 4 mandazi rimasti e lo ha dato al bambino. All’improvviso Ciucciolo, che sino a quel momento aveva riso ripetutamente, si è fatto serio. Ha preso in mano il mandazi ed ha iniziato a mangiarlo con lentezza, come se non volesse finirlo in fretta e con un’espressione particolare, quasi solenne, dipinta sul volto, un’espressione che non si può descrivere diversamente se non come lo sguardo di un bambino che aveva fame a cui viene inaspettatamente offerto del cibo; dopo il mandazi, Ciucciolo ha mangiato anche una banana, la cui buccia ha buttato per terra ma fuori dalla porta di casa, ed un secondo mandazi, prima di andare via. Rimasti soli, Francesco e Renato hanno mangiato ciò che era rimasto, un mandazi ed una banana a testa; ma nel mangiare quel poco cibo si sono resi conto che era loro passata la fame, a causa della scena a cui avevano assistito. La casa di Padre Christopher è una sorta di zona franca rispetto alla realtà che la circonda; qui abbiamo cibo ed acqua, e spesso perdiamo consapevolezza di cosa ci sia e di cosa non ci sia al di fuori di queste mura. Ed invero è facile dimenticarsene, perchè i bambini qui sono così felici e giocosi che è strano pensare che manchi loro qualcosa; ma i bambini del villaggio fanno forse un pasto al giorno, non di più, ed a scuola è vero che i bambini mangiano tutti i giorni più volte al giorno, hanno una divisa, hanno l’opportunità di studiare. Però, se si guarda alla realtà per come è, i bambini della scuola mangiano sempre lo stesso tipo di cibo, le divise sono golfini usati giorno dopo giorno per mesi, e pieni di buchi, i libri su cui studiare semplicemente non esistono e sono sostituiti dagli appunti presi a lezione. E poi c’è la questione dell’acqua, che qui è realmente un bene prezioso. Ieri Sonia ha assistito ad un episodio difficile da dimenticare: insieme a Chepkoeck è andata presso la cucina della scuola, dove la bambina ha chiesto dell’acqua da bere; il cuoco ha domandato a Sonia per chi fosse l’acqua, se per lei o se per la bambina, e Sonia ha risposto che era per la bambina; al che il cuoco ha detto che non c’era più acqua. Lo sguardo di Chepkoeck, di solito così allegro e vivace, è cambiato, divenendo spaurito, come se la bambina si sentisse persa e stesse pensando: “Ed adesso cosa faccio?” Poi Chepkoech è andata alla cisterna dell’acqua, dove Sonia l’ha vista inginocchiarsi e chinarsi quasi a livello terra, per mettere la tazza sotto un piccolo rubinetto e catturare qualche goccia d’acqua che ne usciva. Oggi la scena si è ripetuta; passando vicino al rubinetto della cisterna, Sonia, che aveva raccontato l’episodio durante la condivisione del diario avvenuta la sera prima, l’ha indicato a Renato. Attorno al rubinetto c’erano in quel momento diversi bambini, tutti chinati a terra e con la tazza vuota. Per la seconda volta nel giro di poche ore, Renato si è trovato di fronte alla realtà di Siongiroi per come è dietro la superficie felice; ha preso la bottiglietta d’acqua che aveva nello zaino ed ha distribuito l’acqua ai bambini, i quali allungando la tazza dicevano “a bit”, “un poco”, ma più nel senso di “versane poca così che ce ne sia anche per gli altri”. Scene come questa e come quella della passeggiata delle ragazze più grandi alla pozza per prendere l’acqua per lavarsi il corpo ed i vestiti pongono quello della mancanza d’acqua come il primo problema da risolvere nella scuola di Siongiroi. Nel pomeriggio ne abbiamo parlato fra noi, ed in serata con Padre Christopher, riflettendo sulle possibili soluzioni. Paolo ha scritto una mail ad un suo contatto Engim per capire quali informazioni fosse necessario reperire sul posto per iniziare a pensare seriamente ad un Progetto Pozzo (il costo stimato di un pozzo è di 30.000 euro). Padre Christopher si è detto d’accordo con l’idea. Chepkoeck, nella sua lettera per i genitori adottivi in Italia, ha scritto: “mi piace l’acqua”, come noi possiamo dire “mi piace la coca cola” piuttosto che “mi piace la sprite”. È una frase che, nella sua semplicità, colpisce e non può lasciare indifferenti.

 

MARTEDI’ 13 AGOSTO 

Oggi abbiamo ripreso il percorso dei cinque continenti. Il continente del giorno è stato l’Europa, il film “Pinocchio”. Nel corso della giornata gli studenti hanno svolto gli esami di fine trimestre. Francesco, Cristina e Serena hanno fatto lezione di pronto soccorso alle ragazze della Secondary School. Suor Jola e Renato hanno finito di girare i video dei bambini adottati e da adottare tramite l’associazione. Matteo e Paolo hanno affrontato con Padre Christopher e l’economo della scuola la questione della comunicazione fra l’associazione e la scuola stessa, al fine di poter avere una corrispondenza epistolare regolare fra i bambini adottati e le famiglie adottive, ed un modo di comunicare rapido in caso di attuazione di progetti dell’associazione. Alla sera ha piovuto a lungo e copiosamente. 

UNA GIORNATA AFRICANA - Sveglia all’alba e passeggiata nel silenzio della natura, rallegrato dal “Ciao” di Citofono, un bambino di due anni che al nostro passaggio si diverte a fare più volte l’eco del nostro saluto. Alcuni nella casa ancora dormono, altri, più ginnici, indossano le scarpe da ginnastica e vanno a correre. 

Ore 8:30, colazione e pranzo sono invertiti: a colazione scelta fra chai, latte, the, marmellata, burro, miele, mandazi, chapati, pane bianco, riso, pasta, carne, uova, crauti, patate, ananas e banane; a pranzo chai e mandazi, qualche volta si salta. 

Ore 9:00 lodi, poi si esce e si va a scuola. Sulla strada si incontrano i bambini del villaggio. Ruotolo ci raggiunge con la sua ruota ed intrufolato fra noi riesce ad infiltrarsi nella chiesa per la proiezione del film “Pinocchio”. 

Ore 10:00 passiamo nelle classi a dare come regalo d’addio una penna da usare durante gli esami. 

Ore 10:30 i bambini escono dalle classi e bevono il porridge distesi nel prato. Ci mischiamo fra loro. Chi chiacchiera, chi fa fotografie, chi gioca. Sono gli ultimi giorni, ai bambini piace farci dei regali: Luisa da una bambina della Primary School riceve una fotografia, Sonia una letterina da una bambina timida che poi scappa via arrossendo. A Suor Jola “Mtakatifu” alcune ragazze più grandi vogliono donare un vestito, altre le scarpe, visto che d’abitudine porta i sandali; Jola ringrazia e declina l’offerta, quegli oggetti servono più a loro. Ogni giorno comunque ci chiedono se abbiamo freddo, non capiscono come possiamo andare in giro in magliette maniche corte. 

Ore 11:00 si descrive il continente del giorno e viene proiettato il film. Renato e Suor Jola “Mtakatifu” si allontanano per andare a girare i video per le adozioni (per la Secondary School, Betty Chepkemoi, Faith Ceruto, Juddy Chepkoech, Mercy Chepngetich, che sono emozionate all’idea dell’adozione scolastica a distanza e scrivono la loro lettera con grande impegno; per la Primary School, Doroty Chepkirui e Jaloty Chepkemoi). Sonia si aggrega al duo multimediale e scopre che Jaloty è la bambina adottata dal Campo SuperEx. Le dona la fotografia che ritrae i ragazzi del campo e la bambina si emoziona molto al pensiero che tanti giovani italiani abbiano pensato a lei. 

Isabella, Silvia ed altri vanno nelle classi della Secondary School per fare lezione di inglese e di italiano. 

Nella chiesa durante la proiezione del film Ruotolo si addormenta fra le braccia di Suor Jola “Mdogo”. Dopo un po’ la sorella ed il padre vengono a cercarlo, il bambino si sveglia e nel vederli fa un grande sorriso sorpreso (di solito qui i bambini del villaggio sono lasciati soli e sono abituati a badare a se stessi). 

Ore 13:00, i bambini vanno a pranzo. Matteo fa lezione di informatica con l’economo della scuola, che diverrà il nostro contatto per le comunicazioni fra l’associazione e la scuola. 

Ore 14:30,  Serena, Cristina e Francesco insegnano alle ragazze della Secondary School i rudimenti del Pronto Soccorso. Durante la lezione, escono anche domande curiose, in particolare sul parto e sulla gravidanza. Una ragazza chiede se sia vero che, nel caso in cui la madre muoia durante il parto, al figlio restino impressi i lineamenti del viso della madre. Tutte seguono con attenzione, alcune ragazze che desiderano studiare Medicina in futuro si applicano con maggiore impegno alle simulazioni delle tecniche di pronto soccorso e sono felici di ricevere in dono le dispense sanitarie preparate in Italia. Nota di colore: durante la seconda parte della lezione, svoltasi all’aperto, Serena, Cristina e Francesco non si sono accorti che alle loro spalle è avvenuto un parto in diretta! Nella scuola oggi è nato un vitellino. Aron ha commentato: “Altro latte!”. 

Ore 16:00 si gioca. 

Ore 18.00  si dovrebbe tornare a casa, ma inizia a piovere. Rimaniamo bloccati nella chiesa, fuori il diluvio. In Africa tutto è “esagerato”, dall’affetto dei bambini alla quantità di pioggia che cade quando piove. Ne approfittiamo per trascorrere ancora un po’ di tempo con questi bambini, ci sembra impossibile che fra soli due giorni essi se ne andranno, proprio ora che iniziamo a conoscerli meglio. Improvvisiamo balli e bans nella chiesa, che viene vissuta contemporaneamente come luogo di divertimento e di preghiera. Mentre cantiamo, tre bambini si inginocchiano dinanzi all’altare e pregano, le mani raccolte sul petto. Questa pioggia è una liberazione, data la situazione idrica della scuola, e si vede che i bambini sono felici che piova; molti escono all’aperto e si lasciano bagnare dall’acqua caduta dal cielo. 

Ore 20.00 la pioggia diminuisce di intensità, torniamo a casa. Passeggiando nel buio, conosciamo una Siongiroi diversa, si vedono le luci dei locali nella notte e, quando stiamo per arrivare, nel nero assoluto che ci circonda le luci della casa. I bambini del villaggio ci vengono incontro anche in queste condizioni, è bello sentire le loro voci, quel “Ciao!”, “Giraf! Giraf!”, che ci confermano che non ci siamo persi. Ci prendono per mano e ci portano a destinazione. Il bambino vicino a Miriam trema palesemente, lei gli chiede: “hai freddo?”, lui nega e quando arriviamo le dice: “Sono felice di averti portata sino a casa”. 

Ore 21.00 doccia e cena, le pietanze sono le stesse della colazione. Segue il momento di condivisione della giornata, per scrivere il diario. Oggi piove, quindi non possiamo proiettare il film per i bambini del villaggio, e si va a dormire un po’ prima. Suor Jola “Mtakatifu”, sorridendo, ci confida che ieri ha chiesto a tutti i suoi amici su facebook di pregare perchè piovesse abbondantemente a Siongiroi. Francesco, asciugandosi i capelli e sternutendo, annuisce spaventato pensando ai poteri di Sister.

  

MERCOLEDI ‘ 14 AGOSTO 

Questa mattina abbiamo vissuto la cerimonia delle pietre. Al pomeriggio siamo tornati a casa perchè i bambini dovevano fare gli esami. Verso le 19 eravamo nuovamente alla scuola per vivere l’ultima serata insieme (musica e film) interrotta da una nuova pioggia copiosa che ci ha reso impossibile proseguire a causa del rumore assordante.

 

IL FATTO DEL GIORNO – Oggi abbiamo partecipato alla cerimonia delle pietre. Sia noi sia gli studeni abbiamo portato le pietre sino a dove sono state gettate le fondamenta del nuovo dormitorio maschile. La cerimonia, già vissuta nel 2011, aveva un valore simbolico, di condivisione e partecipazione, ma mentre nel 2011 era stata realmente simbolica, questa volta sia noi sia soprattutto i bambini abbiamo dovuto portare pietre pesanti. A posteriori non possiamo non evidenziare alcune contraddizioni di questa realtà. Ad esempio, il lavoro è stato delegato agli studenti, mentre i professori e gli altri adulti guardavano senza contribuire; abbiamo pensato che questa scelta fosse dovuta alla posizione di prestigio degli insegnanti, che non si devono abbassare al lavoro manuale; Padre Christopher, infatti, ci ha ringraziato perchè con la nostra partecipazione di “muzungu” abbiamo dato, ai loro occhi, un esempio di umiltà. Inoltre c’erano degli strumenti, come una carriola, che avrebbero potuto venire utilizzati e che invece, sino al nostro intervento, non lo sono stati. Era altresì presente un camion, che si sarebbe potuto usare per evitare di fare fare fatica ai bambini, e che è stato usato solo dopo la conclusione della cerimonia per portare altre pietre. Pur comprendendo il valore simbolico della cerimonia, non è stato bello vedere le ragazze portare grosse pietre sulla testa, in perfetto equilibrio ma pur sempre pesanti, o i bambini con le mani ferite per avere dovuto portare pesi eccessivi per la loro età. In generale possiamo dire che la società del Kenya ricorda, almeno in parte, la società italiana di 70-80 anni fa: qui i bambini e le donne lavorano al posto degli uomini, che però mangiano per primi; i genitori hanno le scarpe, i figli vanno in giro a piedi nudi. I bambini sono quindi visti come forza lavorativa: più figli hai, più forza lavorativa hai, anche per questo qui le famiglie sono così numerose. L’unica seria prospettiva di cambiamento è la scuola; tornando, ad esempio, al problema dell’acqua,  qui invero di acqua ne hanno, ma non sanno usarla in modo corretto; non hanno filtri per depurare l’acqua fangosa nelle pozze nè hanno costruito pozzi per estrarla dalla terra. Alla fine della cerimonia delle pietre, Padre Christopher ha dato ai bambini il pane con la cioccolata come premio. 

CURIOSITA’ – Oggi abbiamo ritirato le lettere scritte dagli studenti di Siongiroi per gli studenti italiani, sono state numericamente davvero tantissime, e scritte con grande impegno! La comunicazione a distanza Italia / Kenya è iniziata. 

 

GIOVEDI’ 15 AGOSTO 

Oggi è stato l’ultimo giorno vissuto con i bambini della scuola di Siongiroi. 

IL FATTO DEL GIORNO – Ci siamo alzati all’alba per stare coi bambini sin dall’inizio della giornata. Arrivati nella scuola, abbiamo scoperto che i bambini della Primary School oggi non avrebbero avuto lezione ma che non potevamo tenerli con noi perchè sarebbero stati “occupati”, non ci è stato detto però in quale attività. Allora ci siamo diretti verso la Secondary School, dove abbiamo assistito ad una scena spiacevole. Alcune ragazze erano inginocchiate ed il preside le stava picchiando per punizione, perchè si erano svegliate tardi. Qui in effetti gli studenti si alzano molto presto, verso le 4:30, anche perchè prima di iniziare la giornata scolastica devono andare a pulire le proprie aule. Ieri sera queste ragazze sono andate a dormire tardi anche a causa della nostra presenza, perchè si sono fermate nella chiesa per partecipare alla serata musicale insieme anzichè andare a dormire alle 21. Quando ha visto le espressioni di disappunto sui nostri visi, un’insegnante è andata dal preside, il quale ha smesso di picchiare le ragazze e le ha “solo” obbligate a correre. Poi il preside è venuto da noi spiegandoci che qui si usa fare così per mantenere la disciplina. Non possiamo che ribadire che la società del Kenya per certi aspetti ricorda l’Italia di 70-80 anni fa, in cui era normale punire fisicamente a scuola gli studenti. Resta comunque la contraddizione fra il rispetto assoluto degli orari preteso dagli adulti per gli studenti, ed il fatto che nella vita quotidiana in Africa “il tempo non esista” e gli orari non vengano rispettati proprio dagli adulti. L’attività in cui i bambini della Primary School erano “occupati” abbiamo poi scoperto essere la preparazione delle valigie. In realtà gli studenti aveva preparato le valigie per tempo, così abbiamo trascorso la mattinata a giocare a calcio ed a pallamano. In tarda mattinata, si è svolta la cerimonia delle premiazioni. Gli studenti sono stati radunati nel prato vicino alla chiesa e qui sono stati proclamati i nomi dei tre migliori studenti per ogni classe. A differenza di quanto avviene in Italia, dove di solito la figura del “secchione” è vista con malanimo dai compagni di classe, qui i migliori sono stati applauditi da tutte le classi. Nuovamente, però, c’è stata una punizione: un ragazzo è stato costretto a rimanere in ginocchio davanti a tutti per circa 20 minuti, non abbiamo capito per quale motivo, se per indisciplina o se perchè fosse il peggior studente della scuola. A conclusione della cerimonia, c’è stata una lotteria il cui premio erano un materasso ed una coperta; l’estrazione è stata fra i bambini le cui famiglie avevano negli scorsi giorni offerto delle donazioni per la ricostruzione del dormitorio maschile. Dopo pranzo, abbiamo completato il percorso dei continenti, parlando dell’Africa, appeso nella chiesa il mosaico che rappresenta l’unione dei popoli della Terra, proiettato i video delle esperienze missionarie 2011, 2012 e 2013 ed i saluti di Nino, Marie-Claire, Daniela ed Enrico per i bambini di Siongiroi. Bello è stato il momento di incontro fra la mamma di Juddy Chepkoech, la ragazza della Secondary School che è stata adottata  dai genitori di Isabella, ed Isabella stessa, Paolo, Silvia e Miriam. La bambina era molto emozionata, al punto che non riusciva a dire una parola. È seguita la messa di saluto, durante la quale i bambini ci hanno detto “Good Bye” con canti e doni, e non sono mancati i momenti di commozione da entrambe le parti. I professori sono usciti dalla chiesa perchè non riuscivano a trattenere le lacrime, ed in Africa non è considerata cosa opportuna che un uomo pianga in pubblico. La giornata si è conclusa nuovamente sotto una pioggia copiosa.

 

VENERDI’ 16 AGOSTO

Questa mattina siamo andati a scuola alle ore 7 per salutare ad uno ad uno i bambini prima della partenza. Uno dei bambini purtroppo è svenuto, forse per un attacco epilettico. Al pomeriggio abbiamo ricevuto la visita di un sacerdote austriasco, di una anziana donna nostra vicina di casa nonché di Richard, padre di Sharon, e della sua famiglia.

 IL FATTO DEL GIORNO – Dopo la conclusione della serata di ieri, un po’ affrettata al buio sotto la pioggia, questa mattina abbiamo voluto essere presenti a scuola subito dopo il sorgere dell’alba, per salutare i bambini ad uno ad uno prima che partissero. I bambini erano già tutti in ordine; già ieri avevamo notato come pulissero le loro scarpe e come si lavassero accuratamente, oggi indossavano l’abito bello, come se fosse importante andare a casa dando l’immagine dell’alunno pulito ed ordinato. Prima di andarsene, i bambini hanno lasciato le aule pulite ed in ordine, pronte per il ritorno a scuola, e ci hanno dato ancora dei doni. Sara, ad esempio, ha ricevuto una letterina; a tutti noi i bambini hanno comprato, con parte dei soldi dati loro dai professori per il viaggio, dei biscotti che erano venduti al cancello della scuola da venditori ambulanti. Molti ragazzi della Primary School sono andati a casa da soli, dopo avere contrattato un passaggio in auto od in moto. Alcuni bambini hanno chiesto a Francesco di accompagnarli a casa; ovviamente la cosa non era possibile, così Francesco ha promesso di accompagnarli sino al cancello della scuola, ed ogni volta che arrivava al cancello il bambino di turno gli comprava un biscotto, lui ringraziava poi tornava verso la scuola e veniva intercettato da un altro bambino che faceva la medesima offerta e dava lo stesso dono. Un bambino, che negli scorsi giorni gli aveva chiesto che significato avesse la fedina che portava al dito anulare, ed a cui aveva risposto che era un simbolo d’amore, gli ha dato un cerchietto in metallo, forse preso da un portachiavi, dicendogli che sarebbe stato un simbolo d’amicizia fra loro due. Mentre i bambini iniziavano a partire, uno di essi, di nome Brad, si è sentito male nel prato. Serena e Cristina lo hanno raggiunto, compiendo le prime operazioni di pronto soccorso; il bambino era svenuto, ed è rimasto svenuto per quasi 40 minuti, forse colpito dal “piccolo male” (l’attacco epilettico dei bambini). Chiamati dal preside, sono arrivati tre dottori, che invero in apparenza non sembravano tali, i quali hanno preso le foglie dell’albero della scuola detto “sotek”, che aveva colpito il dito di Enrico nel 2011, e già usato dai bambini per lavarsi i denti masticandone i rametti,  e strofinandogliele davanti al naso lo hanno fatto rinvenire. Brad si è ripreso lentamente e solo dopo essere rimasto a lungo in silenzio, senza parlare, ha risposto alla domanda che gli avevamo fatto, “What’s your name?”, nel sollievo di tutti. Francesco ha voluto provare ad assaggiare il rametto di “sotek”, seguendo l’esempio di un’insegnante, che gli ha mostrato come togliere la corteccia con i denti, e l’ha trovato piccante, quasi urticante. Ad alcuni bambini abbiamo dato appuntamento per la messa di sabato a Kaplong e per la messa domenicale di Siongiroi; alcuni vivono in questo paese e speriamo di rivederli. Altri bambini, fra cui Mercy, sono venuti a trovarci a casa già nel pomeriggio. Altri, prima di partire, hanno voluto farci fare nuovamente il giro del dormitorio e degli altri locali della scuola in cui hanno vissuto in questi mesi, come se volessero essere sicuri che non ci dimenticassimo di loro e della loro realtà. Quando i bambini sono andati via, sono usciti dalla scuola ordinatamente, in fila, ciascuno con la sua piccola valigia. È stata una bella immagine conclusiva.

L’AFRICA E’ – Cortesia e capacità di attenzione. Al pomeriggio abbiamo ricevuto delle visite, mentre eravamo in casa. Il primo a venirci a salutare è stato un sacerdote di Salisburgo, amico di Richard, quel signore che era stato nel villaggio di Siongiroi nel 2011 insieme alla moglie austriaca nel periodo della nostra presenza. Al sacerdote è seguito Richard, padre di Sharon, il quale, dopo avere notato l’assenza di Suor Jola “Mtakatifu” e Sonia per due giorni consecutivi nella scuola, è venuto a trovarci insieme alla famiglia per sincerarsi delle loro condizioni. Suor Jola è rimasta colpita del gesto. Più tardi, uscendo per una passeggiata con Sonia, è stata salutata da una anziana del villaggio che, in swahili, le ha detto con un sorriso: “Ma quanto vi amano questi bambini?” La gente del luogo apprezza la nostra presenza qui ed il nostro interagire con i loro figli e nipoti. L’Africa è anche questa cortesia e capacità di attenzione. L’ultima a venire a trovarci è stata una anziana del villaggio, nostra vicina, un po’ sorda e che sorride spesso quando vede i “muzungu”; l’anziana donna, forse nonna di Ciucciolo, si è commossa quando è entrata in casa nostra e le abbiamo offerto una tazza di chai. Dopo la pioggia, l’Africa ha salutato la nostra giornata con un arcobaleno con vista su capanna.

 

SABATO 17 AGOSTO  

Oggi siamo andati a Kaplong per una messa di ordinazione di alcuni sacerdoti. Alla sera abbiamo proiettato un film per i bambini del villaggio, ma questa volta dentro la casa di Padre Christopher, perchè pioveva, e la scena è stata un po’ particolare. I bambini non sono abituati ad entrare in questa casa, anche se il sacerdote li ospita per regalare loro la proiezione dei film in occasione delle festività. Dopo il film, abbiamo dato ai bambini un biscotto a testa; ancora una volta siamo rimasti stupiti dalle espressioni dei loro visi, chi ringraziava ripetutamente, chi rimaneva in rispettoso silenzio guardando il biscotto, chi se lo infilava in tasca per conservarlo per un altro momento. Di fronte a queste scene noi che ogni giorno mangiamo diversi biscotti anche solo per sgranocchiare un po’ in attesa della cena rimaniamo ogni volta basiti

ESSERE MUZUNGU – Essere muzungu (uomini bianchi) in Africa, vantaggi e controindicazioni. Essere muzungu in Africa significa, in talune occasioni, non riuscire proprio a capire, prima ancora che ad accettare, che qui “il tempo non esiste”. Oggi ad esempio siamo andati a Kaplong per una messa di ordinazione di nuovi sacerdoti. L’inizio era fissato per le 10:30, il matatu è venuto a prenderci alle 10:00, con 3 ore di ritardo sull’orario fissato. Noi eravamo in piedi dall’alba per essere puntuali. Arrivare tardi è stato un po’ come perdere il primo tempo di una bella serata a teatro. Se è vero, infatti, che la messa è innanzi tutto preghiera, bisogna aggiungere che qui è anche festa, spettacolo, soprattutto in occasione di messe importanti come quella odierna. Giunti a Kaplong, abbiamo cercato di mescolarci alla folla ma ben presto ci siamo resi conto che Kaplong non è Siongiroi, dove ormai gli abitanti si stanno abituando alla nostra presenza e sono meno invadenti; qui venivamo continuamente osservati; Matteo scherzosamente sostiene a tal proposito che è successo perchè ad un certo punto ci siamo messi la crema solare, ma ovviamente non è questo il vero motivo. Essere muzungu significa essere divesi, e come tali al centro dell’attenzione. Ciò a volte crea un po’ di disagio, non è simpatico sentirsi continuamente gli occhi degli altri addosso, ma in fondo questa è anche una posizione di privilegio. Attiriamo curiosità, come stranieri ci basta sorridere e tutti ci sorridono, ci danno il benvenuto, a volte ci invitano nelle loro case per un chai. I bambini, poi, sono sempre attorno a noi. Curiosi, ci osservano come se fossimo la novità, qualcosa che non hanno visto mai, uomini dalla pelle bianca, muzungu appunto. Tutti  sono disponibili per il gioco e per una fotografia, anzi desiderano e chiedono con insistenza di venire fotografati da noi o insieme a noi. L’accoglienza, in particolare dei bambini, è l’ingrediente speciale che arricchisce le nostre giornate. Gesù, nel vangelo, dice: “Lasciate che i bambini vengano a me, perchè di questi è il regno dei cieli” (Mt, 19, 14); qui in Africa riceviamo questo dono ogni giorno gratuitamente, senza avere fatto nulla per meritarcelo, solo perchè siamo muzungu. Alla messa abbiamo incontrato alcuni giovani della scuola di Siongiroi. Juddy, innanzi tutto, la ragazza adottata dalla famiglia di Paolo ed Isabella. E Maurine, una ragazza cui Silvia aveva donato negli scorsi giorni una propria felpa, e che ha voluto indossarla per l’occasione. E’ stato strano, ma bello, per Isabella vedere una bambina di colore camminare indossando la felpa della propria figlia. In ogni caso guardare i bambini della scuola con abiti diversi dalla loro divisa li rende più unici, meno uniformi, ai nostri occhi. Essere muzungu è stupirsi delle particolarità di questa terra, come quando, durante il viaggio verso Kaplong, più volte abbiamo visto delle persone ferme a bordo strada lamentarsi perchè il nostro matatu non si fermava a caricarle (come capita a noi in Italia quando il pullman tira tira dritto alla fermata per motivi in apparenza inspiegabili); ai loro occhi il nostro matatu, con 16 persone a bordo, e senza più uno spazio libero, era mezzo vuoto. Quando Padre Walter tempo fa venne a trovarci a Nichelino, osservando un 35 viaggiare con pochi passeggeri, che per di più erano in piedi in quel momento, domandò a Suor Jola “Mtakatifu”: “perchè fate girare un matatu così vuoto?” Punti di vista. Per indicare che il nostro matutu era pieno, comunque, l’autista usava come segnale il battere 2 volte con la mano sul volante. Essere muzungu è dunque principalmente trovarsi in una posizione di privilegio, ma ha anche le sue controindicazioni, come lo scoprirsi a pensare, durante la giornata di festa, a Chumbia ed ai bambini del villaggio, che, mentre stamani noi stavamo partendo, si mettevano in bocca qualsiasi cosa per la fame, dalle foglie alla bacche, e persino un chiodo da tenere per un po’ fra i denti, e provare un senso di colpa e di impotenza che non si riesce a mandare via. Ma questo in fondo non dovrebbe voler dire essere muzungu, bensì solamente essere esseri umani.

 

AFRIKA QUESTION TIME – “Are you cold?” (“Hai freddo?”). “No”. “Are you hungry?” (“Hai fame?”). “No”. “So why don’t you smile?” (“Allora perchè non sorridi?”).

 

DOMENICA 18 AGOSTO

Questa mattina messa domenicale a Siongiroi. Durante la messa si è svolta una sorta di asta per raccogliere fondi per aiutare i progetti di Padre Christopher. Al pomeriggio abbiamo ricevuto la visita dei genitori dei bambini del villaggio. Alla sera, anzichè proiettare il film, abbiamo improvvisato una discoteca all’aperto con i bambini del villaggio, che hanno risposto con entusiasmo ed erano buffussimi a vedersi mentre ballavano i balli di gruppo insieme a noi.

 

 

IL FATTO DEL GIORNO – Colti un po’ di sorpresa dalla pioggia all’uscita della messa, siamo corsi a casa, dove abbiamo trovato ad attenderci un gruppo di genitori dei bambini del villaggio con cui giochiamo ogni giorno. Padre Christopher aveva infatti organizzato un incontro che, causa mal tempo, anziché all’aperto si è svolto nella casa del sacerdote, dove essi non erano mai stati. Abbiamo loro mostrato fotografie e video sui loro figli, fra le risate generali. È seguito il momento dei discorsi di ringraziamento, che qui in Kenya non manca mai. I genitori hanno espresso gratitudine nei nostri confronti per quello che stiamo facendo, ma hanno manifestato anche una speranza di aiuto. Quella che noi chiamiamo “il villaggio” è infatti la zona più povera ed arretrata di Siongiroi. Le persone vivono ancora nelle capanne e le risorse economiche sono scarse. Padre Christopher sta pensando di costruire una scuola professionale, per insegnare ai bambini che vivono qua un mestiere.

 

CURIOSITA’ – Durante la messa si è svolta una sorta di asta per raccogliere fondi per i progetti di Padre Christopher. L’asta serve per dare la possibilità alle persone della comunità che non possano donare del denaro di  fare delle donazioni in natura. I prodotti portati, dalle zucche alle galline sino ad arrivare a capre e pecore, sono stati poi venduti durante la messa da uno spassosissimo banditore, che con i suoi modi è riuscito a fare ridere tutte le persone presenti. Francesco ha annunciato di avere scelto la professione che vuole svolgere nella sua vita: banditore d’asta nelle chiese africane. Nota di colore: siamo arrivati a 6 nomignoli: Ciucciolo, Ruotolo, Ciabattolo, Citofono, Saltolo e Tubolo. Ancora uno e poi potremo scrivere la favola di Suor Jola e dei sette nani di Siongiroi. 

 

COME SI FA – Come preparare un kebab in Africa. Prendere un chapati e distenderlo delicatamente sul piatto. Riempirlo di un alimento (a scelta fra: riso bianco e crauti; riso rosso: riso bianco e patate; managu; al mattino: marmellata). Spalmare uniformemente nella parte centrale. Arrotolare il chapati facendo attenzione a non fare fuoriuscire l’alimento prescelto ai lati. Consumare subito, prima che Francesco passi nei paraggi.

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