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GIOVEDI' 1 AGOSTO

Mancano poche ore alla partenza, l'impazienza si sta ormai impadronendo di noi. Aspettiamo questo viaggio da tanto tempo, troppo, e nell'aria c'è una diffusa sensazione di felicità.

Quest'anno andremo a Siongiroi, Kenya, il villaggio che abbiamo conosciuto durante l'esperienza missionaria del 2011. Per alcuni di noi è un ritorno (Renato, Sonia, Suor Jola P.), per altri la prima volta (Cristina, Francesco, Isabella, Luisa, Matteo, Miriam, Paolo, Sara, Serena, Silvia, Suor Jola S.). Negli occhi di tutti c'è lo stesso entusiasmo e la stessa voglia di partire!

Il Kenya è lontano dall'Italia, situato geograficamente nella zona centro-orientale dell'Africa. Confina con Sudan, Etiopia, Somalia, Tanzania ed Uganda. Siongiroi è ad ovest, al confine con la Tanzania, non lontano dal famoso parco del Masai Mara, nella diocesi di Kericho. Solo per arrivarci impiegheremo quasi 2 giorni di viaggio, ma già sappiamo che ne varrà la pena.

Questo è il nostro diario, scritto per raccontare in diretta emozioni e ricordi dell'esperienza missionaria a chi ci pensa da lontano. Buona lettura. 

 

VENERDI’ 02 AGOSTO

 La prima tappa del viaggio è a Dubai, dove trascorriamo buona parte della giornata in aeroporto nell’attesa di prendere il volo per Nairobi.

Dall’alto, la città si presenta come una cattedrale nel deserto, una composizione di grattacieli con il nulla intorno. L’aereoporto, bellissimo, è il trionfo del lusso, ma lo percepiamo come una realtà finta, se confrontata con la realtà africana che già portiamo nel cuore e che stiamo per andare ad incontrare.

Alla sera arriviamo a Nairobi, dove incontriamo Padre Christopher e Matthew ad accoglierci. Nell’abbracciare i nostri amici, ci pare di essere mancati dal Kenya solo per pochi giorni e non per due anni. Siamo a casa!

 

SABATO 03 AGOSTO 

Giornata di trasferimento da Nairobi a Siongiroi. 

IL FATTO DEL GIORNO – Il viaggio è come un viatico. Giovedì abbiamo lasciato le nostre città con uno stato d’animo tipicamente occidentale; chi nervoso per una valigia chiusa all’ultimo momento dopo l’ennesima intensa settimana di lavoro, chi felice di abbandonare il caldo afoso dell’estate italiana per volare nel fresco inverno dell’Africa, chi curioso di partire, ma pieno di dubbi, magari anche di paure, per quello che lo aspetta. Dopo il giorno di pausa trascorso a Dubai, il viaggio come viatico diviene lento avvicinarsi alla cultura ed al modo di vivere delle persone di questa terra d’Africa. La giornata inizia con una colazione all’inglese: latte, caffè, marmellata, ma anche uova fritte, salsiccia e frutta. Don Richard si raccomanda di mangiare abbondantemente, perchè non si sa quando si mangerà di nuovo. In Africa funziona così: le cose avvengono, ma non necessariamente al momento programmato. In effetti consumeremo il primo vero pasto successivo solo nella notte, una volta arrivati a Siongiroi, circa 18 ore dopo.

Per uscire da Nairobi impieghiamo circa 5 ore. Una parte di questo tempo è stata dedicata ad un incontro con Don Mauro e con Don Beppe, due sacerdoti italiani che hanno creato una nuova parrocchia in un quartiere disagiato di Nairobi. Don Beppe per molti anni ha vissuto in mezzo al popolo dei Samburu e ci mostra orgoglioso le sue fotografie. Nell’attraversare a piedi il quartiere, Miriam inizia a farsi domande importanti, come “cosa potrei fare io per i bambini di questo posto?” ed ha timore di non saperne trovare la risposta.  Francesco sperimenta un altro tipo di sensazione: lasciato da solo “per 10 minuti” davanti ad un supermercato, sperimenta cosa significhi essere guardato come diverso dalle persone attorno a sè (unico bianco nella strada). 

Usciti da Nairobi, salutiamo Don Richard, Gianni ed Alberto, che andranno ad Eldoret, ed iniziamo il nostro viaggio verso Siongiroi. 

Lungo il tragitto abbiamo la possibilità di ammirare il paesaggio africano, in particolare restiamo colpiti dalla visione della Rift Valley, presunto luogo d’origine dell’umanità. 

Arriviamo a Siongiroi alle 23:30, con quasi 9 ore di ritardo rispetto all’orario per cui eravamo attesi dalla comunità locale. Ma è il concetto stesso di ritardo che qui non esiste; qui è la persona che vince sul tempo, gli altri ti aspettano senza farsi alcun problema quindi non si è mai in ritardo. 

Ci rendiamo conto che il viaggio di avvicinamento è stato per noi davvero viatico e cammino. Chi aveva dubbi e paure e si chiedeva: “Sarò in grado di fare qualcosa di utile?” ha avuto il tempo di riflettere e di darsi una risposta di speranza. Chi era nervoso si è rilassato, chi era curioso ha avuto modo di assaporare piccoli spicchi d’Africa ed avere così un proprio inizio.

Scendiamo dal bus e ad accoglierci, nonostante l’ora, troviamo i bambini di Siongiroi, quantomeno i più grandi. Per loro, semplicemente non siamo in ritardo.

Entriamo nella chiesa mentre “Welcome You Welcome”, il canto di benvenuto, viene intonato, ed in quella melodia ciascuno di noi trova la sua risposta; Renato, Sonia e Suor Jola “Mtakatifu”, che erano già stati a Siongiroi, si sentono come se fossero tornati a casa, riconoscono volti, ritrovano abbracci già sperimentati. I nuovi “missionari per caso”, invece, vengono travolti dall’affettuosità dei giovani di Siongiroi. Miriam viene “catturata” dalle ragazze della Secondary School, che la fanno sedere fra di loro sulle panche della chiesa e con un sorriso cui non può dire di “no” la obbligano ad indossare una divisa viola identica alla loro; a 5 minuti dall’arrivo, la nostra amica più giovane, 13 anni, è già divenuta una studentessa della scuola, con buona pace di Isabella e Paolo, i genitori, che ora dovranno versare la retta scolastica anche in scellini kenyoti.

Le emozioni si scorgono negli occhi di chi guarda e di chi è guardato. Perchè qui le persone ti guardano negli occhi e non si limitano a vederti frettolosamente, quando ti vedono.

Le lacrime inumidiscono i volti di molti fra noi. La lentezza del viaggio compiuto ha fatto apprezzare gradatamente l’approccio con una realtà diversa. 

Nel sapore dell’accoglienza, vi è l’abbraccio dell’amore che passa attraverso Dio. È difficile credere che certi incontri avvengano per caso e non perchè siano stati voluti. 

Dopo 54 ore e mezzo di viaggio, siamo infine arrivati nella nostra Africa, a Siongiroi.

 

L’AFRICA E’ – In Africa il tempo scorre in maniera differente. Un minuto africano è diverso da un minuto europeo. Per esempio, stamani, al momento di lasciare l’albergo, Padre Christopher ci aveva assicurato che il pullman che avrebbe dovuto portarci a Nairobi sarebbe arrivato “entro 10 minuti” ma i suoi 10 minuti africani sono equivalsi a circa 90 minuti europei. Questa “regola” viene applicata in terra d’Africa in ogni momento della giornata, quindi quando siete qui non chiedetevi mai “quando” ma solamente “se”.

 

DOMENICA 04 AGOSTO

La nostra domenica è iniziata a mezzanotte, quando siamo entrati nella Chiesa per vivere il momento dell’accoglienza. Dopo un breve sonno ristoratore, ci siamo recati presso la scuola, dove il clima di festa è stato turbato dalla notizia dell’incendio doloso del dormitorio delle bambine, avvenuto il giorno prima. La messa di presentazione alla comunità si è svolta ugualmente, ma nell’aria c’era tristezza, anche se con il trascorrere dei minuti, quasi a voler ribadire che il Bene debba prevalere sul Male, gli abitanti di Siongiroi hanno intonato con crescente gioia ed entusiasmo i loro canti di lode a Dio.

IL FATTO DEL GIORNO – La notizia dell’incendio che ha distrutto uno dei dormitori delle bambine, invero, è di ieri, ma Padre Christoper, che l’aveva ricevuta durante il nostro viaggio di trasferimento da Nairobi a Siongiroi, ha preferito non comunicarcela per non caricarci di ulteriori pensieri. “Ad ogni giorno la sua pena”, ha detto. Noi non ci siamo accorti della sua preoccupazione. A posteriori, il benvenuto che abbiamo ricevuto a mezzanotte dalle ragazze più grandi assume quindi per noi un sapore ancora più bello. Pensate cosa debba essere stato per loro attenderci per così tante ore, quando il dormitorio delle loro amiche più piccole era andato bruciato solo poche ore prima. L’incendio, di natura dolosa, fortunatamente non ha prodotto feriti: le bambine erano a casa presso le proprie famiglie per il week-end. Nel corso della giornata si è anche parlato di farle rimanere nelle prossime settimane ancora a casa con le famiglie, non avendo più un posto dove farle dormire, ma le ragazze più grandi si sono opposte, perchè in tal caso le loro compagne avrebbero perso l’esperienza con gli ospiti venuti dall’Italia; per tale ragione, si sono offerte di dare alle compagne più piccole 1 coperta a testa, permettendo loro di dormire fra i banchi nelle aule.

A noi tutti, in particolare a quanti erano stati qui nel 2011 ed avevano quindi già conosciuto queste persone, ha fatto impressione camminare fra le lamiere, sui resti del dormitorio femminle: vedere i quaderni bruciati, ricordando come le bambine amassero la scuola, le penne, i quaderni; quella vissuta è stata per loro una perdita vera, rispetto alla quale non possiamo nè vogliamo rimanere indifferenti. Abbiamo chiesto a Padre Christopher, come gesto simbolico, di poter dedicare la mattinata di domani, anziché ai giochi programmati, ad un lavoro materiale di sgombero delle macerie. Padre Christopher ha acconsentito e ci ha assicurato che ricostruirà al più presto il dormitorio femminile, questa volta in mattoni. Nell’avviarci verso la Chiesa per la messa di presentazione alla comunità, per terra abbiamo trovato anche una fotografia, solo parzialmente bruciata, con i visi sorridenti di una bambina e dei membri della sua famiglia.

 

L’AFRICA E’ – L’ospitalità è un concetto essenziale in questa cultura. Nella messa di presentazione alla comunità, sia gli abitanti di Siongiroi sia i bambini erano concentrati esclusivamente su di noi, come se poche ore prima non fosse avvenuto l’incendio doloso del dormitorio femminile.

Ogni persona che incontriamo, in scuola o per strada, usa una parola tipica, “Karibuni” in kiswahili, “Welcome” in inglese, e cioè “Benvenuti”.

Durante l’accoglienza di mezzanotte, molti fra noi si sono sentiti sopraffatti; queste persone ci avevano aspettato per ore, senza ancora neppure conoscerci. Ci guardavano con amore, ci davano la mano affinché la stringessimo, ci salutavano uno dopo l’altro, a decine, centinaia.

Francamente di fronte ad un simile impatto ci si sente sopravvalutati: chi siamo noi per meritare tutto ciò?

Sono inoltre bastati piccoli gesti per ricambiare, restituendo loro felicità: ballare insieme, sedere insieme, tenere strette le loro mani. Queste persone hanno un modo molto fisico di manifestare amicizia, negli sguardi e negli abbracci vi è un voler essere sempre e comunque insieme che in Italia manca.

Isabella ha pianto, e con lei hanno pianto Suor Jola “Mtakatifu”, Serena e Cristina; è stato bello, per chi qui era già stato, vedere piangere insieme “nuovi” e “vecchi”, perchè nel guardare i nostri volti uniti vi è il sapore di qualcosa di speciale che è stato proposto, accettato e condiviso. Siamo qui anche per emozioni così.

Emozioni come vivere la messa all’africana. La messa in Africa è differente: si canta di più, e con più gioia, e si balla tantissimo. Anche noi ci siamo lasciati coinvolgere e nel farlo ci siamo resi conto che il loro modo di ballare è bellissimo, è come pregare con tutto il corpo. In questa maniera la messa diviene davvero una preghiera collettiva e condivisa. La comunità è unita e la si percepisce come tale. Dopo che le persone avevano già dato qualcosa al momento dell’offertorio (portando all’altare, oltre al denaro, frutti della terra ed animali), Padre Christoper ha chiesto ed ottenuto un’offerta per la ricostruzione del dormitorio femminile. La Chiesa cattolica è apprezzata, perchè restituisce ciò che riceve.

Anche noi, in segno di benvenuto, abbiamo ricevuto dei doni: un cappello, un telo ed un bastone i ragazzi; tre foulard le ragazze. Il cappello è simbolo di prestigio, il telo è per chi va in guerra, il bastone è per camminare e proteggere ed è dato al capo della famiglia; i foulard, invece, erano per ornamento e bellezza, come avviene per le ragazze africane che usano portarne tre insieme. Le due Suor Jola hanno ricevuto un kanga a testa (il classico telo africano, con disegni e scritte, da usare nel loro caso per non fare sporcare l’abito).

La messa, durata circa 4 ore, è dunque trascorsa in fretta, come se fosse una festa, e viverla è stato come ricevere un mandato per quello che faremo qui.

 

PER I NOSTRI AMICI RIMASTI IN ITALIA: tutti i bambini, sia quelli della scuola, sia quelli del villaggio, ci chiedono “Where is Nino?”, “Enrico?”, “Marie-Claire?”, e “Daniela”, “Valentina” e “Giorgia”. E’ difficile fare loro capire che non abbiamo potuto tornare tutti, ed è davvero impressionante come a distanza di due anni essi ancora si ricordino i nostri nomi stranieri.

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