LUNEDI' 22 AGOSTO
Non capita tutti i giorni fare un pic-nic con gli ippopotami! Il Masai Mara - parco nazionale che prende il nome dal fatto che sorge nel territorio abitato dalla popolazione nomade dei Masai ed è attraversato dal fiume Mara - è questo: avere avuto l'opportunità di vedere e vivere gli animali a due passi da noi. Mentre al circo essi sono chiusi in gabbia, qui vivono nel loro ambiente naturale, qui siamo noi il corpo estraneo. Abbiamo così visto i buffi facoceri scrutarci con sguardo curioso e subito correre via, con la coda dritta, non appena ci avvicinavamo troppo; le gazzelle saltellare ai bordi della strada; i due rinoceronti (di nome Elizabeth e Kofi Hannan, quest'ultimo così "battezzato" perchè nato nei giorni della visita del Segretario dell'ONU in Kenya) brucare tranquilli; i maestosi elefanti, prima da vicino e poi da lontano mentre lentemente attraversavano la savana sulla linea dell'orizzonte; le giraffe dal lungo collo, sedute a riposare, e le zebre eleganti; ed anche animali sconosciuti, cui non sappiamo dare ora un nome; ma l'animale che ha riscosso più successo è stato Simba, il re leone, che - stiracchiandosi e sbadigliando - circondato da un harem di leonesse, ha dato spettacolo mentre decine di macchine fotografiche immortalavano la sua criniera che si muoveva al vento. Alla sera, di ritorno dal Masai Mara, abbiamo cenato in una parrocchia in cui abbiamo conosciuto un gruppo di 4 austriaci facenti parte di una associazione di dentisti che qui svolge opera di volontariato.
MARTEDI' 23 AGOSTO
Al mattino siamo andati a fare shopping a Narok (città della polverse, in lingua masai), prima in un negozio di souvenir tradizionali, dove abbiamo esercitato l'arte della contrattazione (il prezzo base proposto dal venditore è sempre altissimo ma nella proposta è implicito l'invito al gioco al ribasso), poi al mercato, dove abbiamo comprato simpatici vestiti da masai per bambini, kanga ed altri oggetti. Il mercato è un po' particolare: innanzi tutto le bancarelle sono accatastate una vicino all'altra, lasciando poco spazio per camminare; le donne stanno sdraiate sulle bancarelle stesse; ai margini non mancano le auto, vi era addirittura il capolinea dei matatu. E' stato curioso vedere i masai camminare per la città, abbiamo persino incontrato un masai nudo, nel senso che sotto il classico vestito masai l'uomo non indossava nulla ed ad un certo punto un colpo di vento... Nel transitare fra due zone del mercato, abbiamo dovuto passare sopra un ponte assai pericolante; fatto di assi di legno distanti fra loro, sovrastava un canale di acqua putrida; nel vedere la nostra esitazione, tre uomini africani si sono messi a ridere e ci hanno domandato: "Ma voi non avete ponti?". Un ricordo divertente della giornata è Suor Jola che, nel lasciare il centro in cui abbiamo dormito, questa mattina ha guidato l'autovettura "all'inglese" (con sedile del guidatore a destra) per una ventina di minuti: nel partire ha centrato il cancello e poi è quasi uscita di strada, ma nel complesso se l'è cavata egregiamente! (questa è soprattutto l'opinione dei suoi pallidi passeggeri). Un ricordo triste invece è avere visto una zebra morta ai margini della strada; probabilmente investita da un camion nella notte, era incinta di un piccolo i cui resti sono stati portati ad una decina di metri da un animale e lì consumati; questo incidente dà la dimensione di cosa sia il Masa Mara, in Italia possiamo incontrare cartelli stradali con l'avviso di "pericolo - attraversamento mucche", qui la strada viene attraversata dalle zebre!
Al pomeriggio abbiamo fatto il giro delle parrocchie in cui, negli anni scorsi, ha lavorato Padre Christopher, fondando chiese e scuole: St. Benedict (la prima, in cui ombreggiava una maestosa acacia), St. Philips (in cui è stato bello venire nuovamente assaliti dai bambini festanti) e St. Catherine da Siena (situata a circa 2.400 metri di altitudine, al centro di un verdissimo prato verde da cui si godeva un panorama stile colline del Monferrato). Il ritorno a Siongiroi - dove oggi aveva piovuto abbondantemente - ha visto il terreno così fradicio d'acqua che, di fatto, l'ultimo tratto del tragitto è stato come vivere un rally. Anche questo è Africa!
Kongoi mising per averci letto anche oggi (grazie tante, in kalenji).
MERCOLEDI' 24 AGOSTO
Attorno alla casa di Christopher vi è un villaggio di capanne. La giornata di oggi è stata dedicata alle persone che abitano in tali capanne, per conoscere meglio la realtà in cui esse vivono. Ciascuna capanna - dall'aspetto invero alquanto solido - è stata costruita con del semplice fango, usando come "materiale per cementare" lo sterco degli animali. Le capanne hanno forma circolare, con un diametro di circa 5 metri, ed una struttura in tre parti; in alto un soppalco in legno nel quale depositare mais ed altro materiale da conservare; in basso uno spazio per l'accoglienza delle persone ed un ulteriore spazio, a volte separato dal primo da un muro, che funge da cucina e da dormitorio. Le capanne - a volte raggruppate, a volte distanti fra loro - hanno tutte attorno a sè ampi appezzamenti di terreno, nei quali gli abitanti coltivano mais, fagioli, zucche ed altri vegetali, o allevano galline, conigli ed altri animali.
L'accoglienza è un concetto fondamentale in questa cultura. Per queste persone è un onore poter ricevere dei visitatori, e per tale ragione Christopher ha organizzato questa mattinata in giro per il villaggio, così che gli abitanti potessero condividere la loro casa con noi. A riprova di tale concetto, un signore il quale non era in casa al momento della nostra visita, saputo - al ritorno dal lavoro - del nostro passaggio, è venuto presso la nostra abitazione per portarci come ringraziamento un gallo e 5 litri di latte.
Fra le tante persone che abbiamo incontrato durante la mattinata, ci piace ricordare due anziani coniugi, molto teneri ed uniti fra loro, i quali, dopo la morte della figlia, stanno crescendo da soli i due nipotini; le giovani mamme, che dopo avere partorito in casa tenevano fra le braccia due neonati di un mese ed uno addirittura di soli 5 giorni; una famiglia che si sta costruendo la capanna: ad oggi è stato finito solo il tetto di paglia, sul quale Daniela e Maela sono salite per una foto ricordo. Le capanne non sono tutte di dimensione uguale: alcune hanno il soppalco più basso (ed i più alti fra noi erano costretti a piegarsi per poter entrare), altre sono più piccole (e non si riusciva a starvi dentro tutti insieme; puntualmente però i proprietari insistevano perchè tutti gli ospiti entrassero nella loro casa). In molti ci hanno fatto dei doni fra i frutti del loro lavoro (due zucche, un cavolfiore, una barbabietola), uno ci ha accolti dicendo: "Benvenuti in nome di Gesù", tutti hanno voluto dimostrarci la loro accoglienza. Il giro si è concluso verso le 3 del pomeriggio, e non possiamo non annotare che oggi a Siongiroi ha fatto veramente caldo.
Un paio d'ore dopo erano di nuovo fra noi i bambini che abitano nelle capanne visitate, invitati per giocare tutti insieme. Di questi bambini - che da quando siamo qui ci sono venuti incontro festanti tutti i giorni durante i nostri spostamenti verso la scuola - ci ha colpito la semplicità. Dopo qualche minuto speso attorno ad una chitarra, è bastato dare loro un pallone perchè letteralmente impazzissero di gioia: hanno iniziato ad inseguirlo, senza rispettare regola alcuna, con l'unico obiettivo di riuscire a colpirlo con un calcio. Essendo almeno una quarantina, l'effetto era abbastanza comico: era davvero divertente vedere il loro entusiasmo! Le ragazze ad un certo punto si sono staccate dal gruppo per fare differenti tipi di giochi: il limbo, il salto della corda ed altri. Fra esse c'erano anche 3 ragazze della scuola che abitano vicino alla casa di Christopher (che ci ha fatto piacere rivedere) ed una bambina che non ha voluto giocare perchè aveva con sè il fratellino più piccolo da guardare; qui è comune trovare bambini di 6-7 anni che badano a fratelli e sorelle di 2-3 anni. La giornata con i bambini del villaggio si è conclusa con la proiezione di un film.
Dal Kenya anche per oggi è tutto. Tuonana kesho! (A domani!)
GIOVEDI' 25 AGOSTO
Lacrime dal cielo del Kenya...
La giornata è iniziata con una breve presentazione del gruppo ai giovani che si sono riuniti nella parrocchia di Siongiroi per l'annuale meeting di evangelizzazione. Di maggiore età, al primo impatto si sono dimostrati meno curiosi nei nostri confronti rispetto ai bambini più piccoli che avevamo incontrato nelle scorse settimane. Peraltro abbiamo dovuto presto salutarli perchè eravamo attesi, per il pranzo, in una tipica casa del villaggio: durante la passeggiata a piedi abbiamo incontrato diversi bambini della scuola, e così, ugualmente, al pomeriggio, al mercato ed alla scuola stessa: è stato strano, ma bello, vedere i nostri bambini "in borghese", senza la loro divisa ufficiale, alcuni ci sono parsi irriconoscibili! Con alcuni abbiamo chiacchierato, con altri si sono sentiti di nuovo intonare i canti che avevamo tante volte apprezzato alla scuola; una bambina - di nome Sharon - ci ha invitati ad andare al bar del padre, il quale ci ha accolti con simpatia e generosità: per la prima volta dopo più di tre settimane, abbiamo potuto di nuovo gustare un'ottima cioccolata! Con quest'uomo abbiamo avuto l'opportunità di parlare anche della storia della sua famiglia: egli ha sette figli, di cui Sharon è l'unica femmina; inoltre ha accolto in casa Faith e Viola, pure esse studentesse a Siongiroi, figlie della sorella, mancata alcuni anni fa. Ci ha colpito molto, al momento del commiato, la sua frase - allorchè ci ha obbligati a non pagare le consumazioni: "Siete venuti ospiti nella mia casa, non non mio bar". Inoltre, visto che fuori continuava a piovere, egli è uscito di corsa per andare a comprarci degli ombrelli. Tornando alla passeggiata verso la capanna in cui eravamo attesi per il pranzo, è curioso raccontare di come, mentre camminavamo, da ogni dove sbucassero fuori bambini che timidamente si mettevano a seguirci, sicchè - quando siamo arrivati a destinazione - avevamo un nutrito gruppo di bambini color "nero fondente" a farci da scorta. Il tempo speso nella capanna del pranzo è stato breve ma interessante: abbiamo potuto assistere alla preparazione dell'ugali (con una donna che girava la polenta kenyota mentre questa cuoceva sul fuoco e la capanna si riempiva di fumo molto irritante per gli occhi), abbiamo pranzato con gli uomini della famiglia nonchè con alcune galline (qui è d'uso che gli uomini mangino prima delle donne e dei bambini; le galline invece si autoinvitavano, entrando nella capanna a beccare le briciole cadute sul pavimento). L'incontro con la famiglia che ci ha accolto si è dovuto purtroppo interrompere prima del previsto, perchè Enrico ed il suo dito si sono sentiti poco bene, ragion per cui insieme ad un paio fra noi i due si sono recati all'ospedale di Kaplong per un controllo (per la cronaca, il nostro amico sta ora meglio). Da quando Enrico ed il suo dito si sono allontanati, ha iniziato a piovere: prima abbiamo fatto un breve giro al mercato, poi ci siamo riparati nel bar del padre di Sharon, infine abbiamo proiettato con qualche difficoltà il film "Joseph, Re dei sogni", a causa delle continue interruzioni dell'elettricità. Ma il meglio ci attendeva al momento del ritorno a casa, con la strada resa impraticabile dalla pioggia: seduti sul cassone, l'auto di Cristopher che slittava paurosamente, alla fine siamo scesi per tornare a piedi nel fango, con Marie-Claire che dopo avere bistrattato un paio di volte Nino alla fine è scivolata lei in una pozzanghera. Perchè tanta pioggia? Lacrime dal cielo del Kenya, il nostro viaggio sta ormai per finire...
PS: a consolarci - dopo esserci asciugati - un inaspettato piatto di spaghetti al sugo!
Hakuna Matata a tutti (qui nessun problema, tutto bene!)
VENERDI' 26 AGOSTO
Oggi siamo andati a Sotik per partecipare alla cerimonia di benedizione inaugurale di una casa, nella specie la casa del cugino di Christopher, di nome David, e di sua moglie Anna. Tale tipo di cerimonia - nel nostro paese ormai in disuso quantomeno nelle grandi città (nelle realtà rurali capita ancora di assistervi, ma sono presenti solo il sacerdote ed il proprietario dell'abitazione) - si è svolta come una festa di famiglia. Padre Christopher ha benedetto la casa cospargendo d'acqua le mura, quindi Suor Jola ha tagliato il nastro inaugurale fra i canti ed i balli dei parenti di David. Abbiamo poi fatto tutti insieme il giro della casa (nella quale sino a quel momento era stato fatto divieto d'entrare). Essa odorava ancora di fresco ed era stata costruita con stile simile a quello delle abitazioni cui siamo abituati in occidente, con mura in cemento, piastrelle, tende, ... Quale differenza dalle capanne cui ci siamo ormai abituati. Mentre commentavamo fra di noi quanto andavamo vedendo, ci siamo accorti che uno dei parenti di David ci stava riprendendo con una fotocamera in una mano e con una videocamera nell'altra. La cosa ci ha fatto un po' sorridere, sia perchè in queste settimane siamo stati noi a riprendere loro, sia perchè giusto questa mattina, mentre eravamo seduti all'ombra di un albero in attesa dell'automobile, un padre è venuto da noi coi suoi due bambini color nero fondente chiedendoci di fare una fotografia tutti insieme. Qui siamo noi la curiosità, il diverso, anche se ormai, dopo tutte queste settimane, non ci sentiamo più gli occhi della gente addosso (che pure ci sono sempre). Dopo il taglio della torta - su cui era scritto Happy Birthday, come se quello d'oggi fosse il giorno di nascita della casa - David ed Anna ci hanno fatto entrare in casa per il pranzo. Come di consueto, uomini e donne hanno mangiato separati, prima gli uomini poi le donne, ma siamo rimasti stupiti che abbiano consumato il pranzo all'esterno della casa, lasciando che fossimo noi - gli ospiti muzungu - i primi ad inaugurare la sala da pranzo (a titolo di curiosità, è da aggiungere che qui in Kenia non si mangia appoggiando il piatto su un tavolo, bensì tenendolo in mano). Ulteriori aneddoti: nel discorso di ringraziamento agli ospiti, il proprietario ha fatto notare che noi abbiamo parlato in una lingua a lui sconosciuta (che credeva essere francese) ed ha voluto rendere omaggio all'Italia dicendo che le strade locali sono state costruite da imprese italiane e che italiani hanno introdotto la coltivazione del mais; Maela si è persa dietro alcuni cuccioli di cane partoriti da pochi giorni (nota: un giorno vuole adottare un bambino color nero fondente, un giorno vuole adottare un cucciolo di cane...); Nino - dopo avere preso in braccio un bambino di circa due anni - si è visto venire incontro di corsa la madre, che voleva una fotografia tutti insieme, mentre gli uomini ridevano (che qui sia d'uso che gli uomini non abbraccino i bambini?); la cuoca si è rivelata essere una futura guida turistica del Masai Mara.
Tornando verso la scuola di Siongiroi, abbiamo notato le bambine di Sotik raccogliere l'acqua nelle pozzanghere. Nell'attesa che venisse portato nella chiesa vecchia il generatore per il film (oggi abbiamo proiettato "Mosè") i giovani ci hanno intrattenuti con canti e balli (qui basta un semplice tamburo per dare il via a entusiasmanti coreografie). Infine nel solito viaggio (avventuroso) di ritorno verso la casa di Padre Christopher, oggi abbiamo chiuso Sister Jola nel bagagliaio insieme a Daniela e Sonia (qui vige sempre il sistema 5x20).
Espressione swahili del giorno: Kuja hapa (Vieni qua), equivalente al chiudere la mano a pugno, gesto che usiamo per chiamare a noi i bambini.
SABATO 27 AGOSTO
La giornata è iniziata con la messa, celebrata insieme ai giovani riunitisi per il meeting di evangelizzazione. Come di consueto, essa è stata animata con canti e balli all'africana. E' triste rendersi conto come questa sia stata ormai la penultima messa all'africana cui abbiamo assistito, queste messe sono un momento di vera festa cui purtroppo non siamo abituati in Italia. Dopo la celebrazione dell'eucarestia - durante la quale Suor Jola ha fatto un bel discorso sul significato della preghiera nella vita del cristiano - abbiamo avuto il primo dei due incontri culturali con i giovani del meeting. Ci ha un po' stupito come essi avessero ritrosia a mettersi tutti in cerchio durante il dibattito: qui sono abituati a stare seduti in fronte a chi parla loro, per ascoltare; nella posizione a cerchio, invece, eravamo tutti uguali, tutti seduti uno di fronte all'altro per parlare ed ascoltare. Il primo incontro ha trattato principalmente il tema della formazione scolastica, con i giovani studenti che ci hanno fatto domande sul sistema scolastico italiano per fare un raffronto con il proprio. Dopo un'oretta, abbiamo interrotto per compiere tre gesti simbolici: alla posa della prima delle fondazioni del dormitorio per i bambini è seguito l'inizio della pavimentazione della chiesa (ciascuno di noi ha portato una pietra che è stata frantumata per fare il battuto); infine abbiamo piantato un albero a testa, che rimarrà nel tempo a ricordo del nostro passaggio.
Per il pranzo ci siamo riuniti a casa di Padre Christopher con il Consiglio Pastorale della Parrocchia, i rappresentanti del quale hanno voluto ringraziarci per queste settimane che abbiamo trascorso insieme a loro. Ci sono state dedicate parole che ci hanno emozionato, fra le tante ci piace ricordare quantomeno l'accenno al fatto che i bambini della scuola, lunedì scorso, dopo la nostra partenza per il Masai Mara, durante la festa di chiusura dell'anno scolastico non abbiano fatto altro che parlare dei giorni che hanno vissuto con noi in queste settimane; ed al fatto che la nostra testimonianza, nella sua semplicità, sia stata vissuta da alcune persone del villaggio come un'opera di evangelizzazione (ad esempio, la nonna di Sharon ha detto che avrebbe ricominciato a frequentare la chiesa). Durante il pranzo abbiamo avuto anche il piacere di conoscere la famiglia di Peter, uno dei bravi cuochi che hanno cucinato per noi durante questo mese: poco più che trentenne, egli ha già 7 figli (qui è considerata una "buona" famiglia quella composta da almeno 15 figli).
Al pranzo è subito seguita la merenda al bar del padre di Sharon, il quale ieri ci aveva invitati a tornare per un ultimo saluto. Del suo discorso di commiato, ci ha colpito che egli abbia detto che una bambina così povera, che non può offrire nulla, potesse ricevere un'amicizia così bella da parte dei muzungu. Ci fa sempre impressione l'umiltà con cui queste persone si rapportano a noi. Sono loro, invero, che ci hanno dato moltissimo. Siamo poi tornati alla scuola per il secondo incontro culturale con i giovani del meeting. Frattanto Nino e Marie-Claire si sono allontanati per un'oretta per prendere informazioni su una possibile adozione a distanza. Il secondo incontro è stato più vivace del primo, in particolare per merito di Enrico e di Daniela, che lo hanno animato in un ottimo inglese, e dei catechisti che hanno proposto numerose domande nello spirito dello scambio culturale (fra le tante: sul rapporto fra gli adolescenti e la chiesa, sulla corruzione in politica, sulle religioni diverse dalla cattolica, sull'aids, sul problema della maternità adolescenziale, sugli attriti fra le tribù). Fra i tanti concetti espressi durante il dibattito, ci piace ricordare, nel concludere il diario di oggi, queste parole di un catechista: "Se la fede fosse davvero radicata nella vita delle persone, vi sarebbe unità fra le tribù perchè le persone si renderebbero conto di credere in un unico Dio".
Detto swahili del giorno: haraka haraka haina baraka (Le cose fatte velocemente non hanno la benedizione di Dio).
DOMENICA 28 AGOSTO
La giornata è iniziata presto per tutti. Chi si è alzato per vedere l'ultima alba, chi per fare la valigia, chi - come Nino e Marie-Claire - per vivere un momento tutto speciale andando ad incontrare la famiglia della loro nuova "figlia". I nostri bis-sposini hanno infatti deciso di adottare a distanza una bambina della scuola di Siongiroi, di nome Chepkoech, la cui foto potete vedere all'inizio di questo diario. Nino e Marie-Clarie copriranno la retta scolastica della bambina per i prossimi anni (altri fra noi stanno pensando di assumersi lo stesso impegno). L'incontro è stato commovente e divertente allo stesso tempo. Quando Nino e Marie sono arrivati, i bambini della famiglia sono corsi loro incontro, mentre sullo sfondo si sentivano risuonare i bonghi nonchè il canto di un gallo (di lì a poco buffamente catturato). La nonna (agricoltrice) ed il nonno (carpentiere) di Chepkoech li hanno quindi fatti accomodare nella capanna, poi hanno offerto la colazione (a base di chai, zucca, avocado e patate dolci). Chepkoech è orfana di padre, ha due fratelli maschi più grandi di lei; sua madre lavora lontano dal villaggio, sicchè i tre bambini sono accuditi dai nonni. Dopo il momento dell'accoglienza, Christopher ha spiegato il motivo della visita; alla notizia, Chepkoech - che a scuola era fra le più affezionate a Nino e Marie-Claire - si è messa a ridere per la gioia, la nonna invece ha avuto una reazione più composta, dignitosa; non capiva il perchè di questo dono, in particolare perchè fra circa 600 bambini esso fosse toccato in sorte proprio alla nipote. Pur vivendo nella povertà e dovendo mantenere agli studi tre nipoti, voleva ringraziare donando a Nino e Marie addirittura un pezzo di terra su cui costruire una propria capanna; ha poi accettato di donare "solo" un casco gigante di banane, un paio di zucche ed il gallo di cui prima, il quale - compresa la propria sorte - ha iniziato a correre a più non posso per l'aia, inseguito da bambini ed adulti e catturato fra le risa generali dopo circa 15 minuti. La misura dei doni da parte di queste persone si può comprendere anche da un episodio capitato la sera prima, quando Nino, Marie e Christopher si erano presentati a sorpresa andando a preannunciare la propria visita. Era l'ora del tramonto. La nonna con i due fratelli di Chepkoech (assente in quel momenteo) era nella capanna intenta a cucinare, la stanza era piena di fumo. In pochi minuti il sole era calato ed era sceso il buio; Christopher aveva quindi chiesto una lampada ad olio. La donna aveva risposto di non averla, al che i bambini, con la sincerità a volte un po' ingenua loro tipica, avevano detto che non era vero, che la nonna l'aveva nascosta, ed erano andati a prenderla. Il primo incontro si era così svolto alla luce del fuoco e della lampada ad olio. Un piccolo aneddoto per raccontare come queste persone risparmino anche su ciò che a noi può sembrare essenziale, come la luce dopo il tramonto. Dopo le foto di rito, Nino, Marie-Claire e Christopher sono tornati a casa di quest'ultimo insieme alla bambina, in vista della messa che si sarebbe svolta di lì a poco. Quando è entrata a casa del sacerdote, Chepkoech ha sgranato gli occhi come se entrasse in un castello: guardava con stupore ogni cosa, in particolare il tappeto steso per terra, sul quale sfregava i piedi; toccava i mobili, i copri-sedia, i tanti oggetti cui noi non facciamo più caso e che ad una bambina abituata a vivere in una capanna parevano irresistibili curiosità. I due "neo-genitori" hanno offerto a Chepkoech la colazione, e la bambina non si è fatta pregare, sbafandosi una tazza di chai, 3 fette di pane ed un paio di banane. Quindi si è alzata ed ha educatamente sparecchiato per tutti. A chiusura di questo episodio, Nino e Marie-Claire desiderano dire di essere rimasti stupiti di come uno sforzo economico lodevole ma tutto sommato sostenibile per il nostro abituale tenore di vita abbia creato una così enorme felicità. E invitano quindi anche voi che avete letto della nostra esperienza missionaria a fare altrettanto, sostenendo le adozioni a distanza e dando la possibilità di una istruzione a bambini poveri che altrimenti non potrebbero averla o l'avrebbero solo a prezzo di grandi sacrifici da parte delle famiglie d'origine. Per informazioni, potete rivolgervi a Suor Jola presso la nostra parrocchia.
La messa di commiato è stata bella ed intensa, quasi come quella di accoglienza. L'unica differenza - evidente ai nostri occhi! - è stata che non erano presenti i bambini della scuola, i quali durante la messa di accoglienza avevano dato un tocco di entusiasmo in più a canti e balli. A parte questo accenno malinconico, dobbiamo riconoscere che la messa - durata più di 5 ore e conclusasi verso le 17 - è stata speciale anche questa volta. Fra i vari momenti meritevoli di un ricordo, ci piace citare: il discorso di Suor Jola, chiamata ancora una volta "a sorpresa" da Padre Christopher a commentare il vangelo del giorno; Sister ha riportato le parole di Madre Teresa (noi dobbiamo essere una matita nelle mani di Dio, è lui che scrive la nostra storia, ragion per cui quando accettiamo di fare una cosa dobbiamo anche accettare quanto viene dopo di essa come conseguenza); i saluti, con tutte le persone presenti in chiesa che sono venute ad una ad una a stringerci la mano ed a dirci "arrivederci" (uno di essi ci ha anche dato una moneta a testa); i regali, ancora una volta! (un kanga per le ragazze, delle camicie con i disegni degli animali del Masai Mara per i ragazzi; del the, dei braccialetti, dei piccoli contenitori di maziwa lala); il padre di Sharon - dopo gli incontri al bar degli scorsi giorni - ha voluto farci un ulteriore regalo a nome della famiglia, donandoci un barattolo di miele per ciascuno; nel suo breve discorso di saluto, ci ha detto che ogni giorno ci vedeva passare a piedi per la strada davanti al suo bar e che mai avrebbe creduto che dei muzungu sarebbero entrati in esso; altri ci hanno detto che da oggi in poi la loro vita sarà più vuota, perchè ogni giorno uscivano dalle case e dai negozi per vederci giocare con i bambini che incontravamo per strada. Ci sarebbe un ulteriore divertente aneddoto riferito a Suor Jola da raccontare, ma Sister mi diffida dallo scriverlo; mi limiterò allora a dirvi - se mai la incontrerete in giro per l'oratorio un po' triste o con la testa fra le nuvole, cosa improbabile - di gridarle a sorpresa: "molto bene, molto bene!" Vedrete come scoppierà a ridere e - forse, chissà... - magari vi darà anche una spiegazione. Di certo noi non dimenticheremo presto il Sig. "Molto Bene", vero trascinatore delle messe di Siongiroi.
Il pranzo susseguente alla messa è divenuto una merenda sinoira, in quanto abbiamo mangiato dopo le 17. Ancora una volta siamo stati accolti con grande ospitalità; quello che vogliamo farvi capire è che molte delle famiglie del villaggio sono più volte andate da Padre Christopher a chiedere che noi ci recassimo a casa loro per condividere un pranzo: è importante in questa cultura poter accogliere l'ospite.
Al ritorno abbiamo trovato la casa addobbata. Abbiamo così scoperto che Janet, Peter e gli altri che si sono occupati della cucina, del bucato e di tutte le attività lavorative necessarie nella gestione di una casa abitata da dieci persone, questa sera avrebbero condiviso la cena con noi. Dopo un ultimo film proiettato per i bambini del villaggio, abbiamo quindi vissuto "l'ultima cena" in Siongiroi. E' stato un momento bello, anche perchè, cenando sul tardi, la corrente è andata via quasi subito (qui la corrente è prodotta da un generatore portatile che smette di funzionare quando finisce la benzina) così abbiamo cenato alla luce delle lampade ad olio. Dopo i ringraziamenti di rito, e dopo avere lasciato le due chitarre in dono ai cuochi (bravissimi nel suonarle, e che si sono impegnati a fare musica di tanto in tanto per i bambini del villaggio), abbiamo avuto un momento tipo "serata canti in spiaggia attorno al fuoco", solo che noi eravamo in casa attorno a due lampade ad olio. Nel concludere il diario di oggi, ci piace riportare il ringraziamento di Pauline, una delle insegnanti della scuola la quale ha anche spesso aiutato nel servizio in cucina, che ha detto che incontrandoci si è resa conto che siamo tutti figli di un unico Dio, bianchi e neri, uguali fra noi.
La nostra esperienza missionaria è così giunta lentamente (pole pole) al termine. Domani si parte per Nakuru, prima tappa dei tre giorni del viaggio di ritorno.