GIOVEDI' 4 AGOSTO – VENERDI' 5 AGOSTO
Siamo partiti la mattina del 4 agosto 2011 da Nichelino, destinazione Siongiroi. Il lungo viaggio intercontinentale è trascorso in maniera tranquilla, allietato anche da momenti particolari come la visione delle piramidi durante l'atterraggio a Il Cairo.
Giunti a Nairobi, incontriamo Daniela, che era già partita ad inizio luglio, e Padre Christopher, accompagnato da un aiutante alla guida del matatu, il pulmino che utilizzeremo per raggiungere Siongiroi.
Christopher ci propone di fare una pausa di alcune ore presso il Convento delle Suore dell'Assunzione. Mentre ci avviciniamo, notiamo molti cartelloni pubblicitari di stile occidentale che spiccano ai lati delle strade e, sotto di essi, decine di persone che camminano, alle 4.30 del mattino, verso il posto di lavoro; a domanda diretta, Christopher ci risponde che quelle persone si alzano così presto perchè non hanno la macchina. È questo il nostro primo impatto con la quotidianità di questo posto.
Il matatu e l'automobile sono stracolmi di bagagli e persone. Alcuni fra noi chiamano questo modo di viaggiare “5x20”, non è difficile intuire perchè.
Giunti al Convento, Christopher ci chiede di dire i nostri nomi e qualche parola di presentazione. Scopriremo presto che questa sarà una costante delle nostre giornate, insieme alla consapevolezza che in Africa il tempo non esiste: solo dopo molte ore raggiungeremo la nostra destinazione finale, Siongiroi.
Non facciamo in tempo a scendere dal matatu che un eterogeneo gruppo di persone (anziani, donne, bambini...) inizia a cantare e ballare. Christopher ci dice che queste persone sono qui ad aspettarci da quasi 8-10 ore perchè vogliono darci il karibuni, il benvenuto; molte fra esse sono venute sino a qui a piedi da molto lontano. Posiamo i bagagli e ci lasciamo coinvolgere dalla loro allegria: stringiamo mani, ricambiamo sorrisi gratuiti, alcuni fra noi accennano anche qualche passo di danza. Sempre con il canto, veniamo accompagnati sino ai piedi della casa che ci ospiterà, dove ci sediamo all'aperto su una decina di sedie poste a semicerchio; mentre ci guardiamo intorno, è impossibile per noi non notare che tutti i presenti ci stanno scrutando con curiosità. Christopher sostiene che alcune fra queste persone, in particolare i bambini, non hanno mai visto un muzungo (uomo bianco). Quando il canto cessa, un uomo ed una donna ci danno il benvenuto a nome della Comunità; in particolare la donna ci invita a sentirci come se fossimo a casa nostra e l'uomo ci regala, sulla base della nostra ora di nascita, un nome africano per ciascuno (Chelangat, Kiprotich, Chepkoech...). Dopo che Enrico e Jola hanno ringraziato i nostri ospiti, questi ci chiamano ad uno ad uno regalandoci delle uova ed una coperta a testa. Avremmo voglia di proseguire a lungo questa inattesa cerimonia di benvenuto, perchè quegli sguardi che ci scrutano, che solo pochi minuti fa ci mettevano in imbarazzo, ora sembrano abbracciarci ad uno ad uno; in particolare gli sguardi dei c.d. “fiori d'Africa”, i bambini; Christopher però ci ricorda che ormai il sole è tramontato e che queste persone debbono tornare ciascuna alla propria casa, così la cerimonia viene sciolta.
Dopo la cena, sistemiamo le stanze ed andiamo tutti a dormire sotto le zanzariere: la stanchezza è tale che il sonno ci coglie tutti veloce.
SABATO 6 AGOSTO
Il sonno ristoratore ci ha restituito le energie: ci scopriamo tutti impazienti di finire la colazione per per poter andare ad incontrare i bambini della scuola. Ma prima di descrivere questa esperienza, una piccola curiosità: qui a colazione si mangiano fegato, patate, ananas, anguria, uova... e se proprio volete il latte, sarà latte di capra.
Per andare alla scuola, percorriamo una strada sterrata, ma definirla "strada" è tanto; in confronto, quella per la Maison des Chamois è una autostrada! Christopher ci confida che quando piove essa diviene impraticabile, ed in effetti è piena di buchi, fango, ed ostacoli varii... Ai lati della strada vediamo, tra alberi e cespugli di un paesaggio misto di savana e foresta (siamo a 30' d'auto dal Masai Mara), le tipiche capanne di fango; da ogni dove ci vengono incontro i bambini, che giocano spingendo le camere d'aria delle biciclette, e le caprette.
Christopher ci fa fare un breve giro mostrandoci i progressi delle costruzioni iniziate l'anno scorso (la chiesa, la scuola, la cisterna di raccolta dell'acqua piovana) ed indicandoci le baracche in cui vivono i 600 bambini ci svela che sta già progettando di costruire un dormitorio per essi.
Mentre ascoltiamo le parole del sacerdote, di lontano si sente il canto dei bambini che ci stanno aspettando; è un canto così forte che più ci avviciniamo più esso ci emoziona; quando arriviamo alla porta d'ingresso, quasi abbiamo paura d'entrare.
"Benvenuti, vi stiamo aspettando da tanto tempo..." Christopher traduce per noi le parole del canto e ci dice di sederci di fronte all'assemblea. Anche questa volta la cerimonia consiste nella presentazione del nostro gruppo, ma presentarsi per alcuni fra noi, inizialmente, è più difficoltoso perchè dobbiamo parlare in inglese di fronte a centinaia di persone; i canti e gli sguardi dei bambini ben presto fanno però sciogliere anche i più timidi.
Alla fine dell'incontro ci diamo appuntamento per l'indomani, ma quasi ci dispiace andare via: è incredibile come questi bimbi ci mangino con sguardo di gioia!
Andiamo poi a Kericho, dove ci attende il vescovo per la celebrazione della messa all'aperto. Essa si rivela essere molto tradizionale, nel senso "africano" dell'espressione: ricca di canti, di balli, di vita! E' proprio entusiasmante. I bambini ci osservano con curiosità; alla fine capiamo che desiderano intensamente essere fotografati. E quando uno fra noi fa "l'errore" di mostrare sullo schermo LCD le fotografie fatte, i bambini scoppiano a ridere e sembrano impazzire di gioia; la nostra messa è di fatto finita perchè in moltissimi vogliono venire fotografati.
Ci incontriamo infine con il vescovo, che ci dà il benvenuto nella sua diocesi e la benedizione in lingua swahili. Anche lui "ci aspettava" (le genti del luogo hanno pregato per noi durante le messe da diversi mesi). Durante il pranzo "veloce" (all'africana...) sotto un albero scambiamo due parole con Suor Martina, di provenienza bresciana, che lavora a Kericho da 20 anni e che ci invita a tornare a trovarla fra qualche giorno.
Rientrando verso casa, ci accoglie un tramonto ricco di colori accesi. Scendiamo quindi dalle macchine per gustarci l'attimo e fare qualche fotografia. Dopo cena, concludiamo la giornata preparando i canti per la messa di domani: saremo infatti ufficialmente presentati alla Comunità della Parrocchia Holy Family.
DOMENICA 7 AGOSTO
Se ci avessero detto cosa ci attendeva oggi, non ci avremmo creduto: non ci sono parole sufficienti a descrivere la giornata che abbiamo vissuto! Proveremo però a condividere con voi le emozioni che abbiamo ancora sulla pelle, perchè meritano davvero di venire raccontate!
La cerimonia è durata circa 5 ore, eppure - credeteci - ci è dispiaciuto quando è finita! Mai avevamo assistito ad una celebrazione dell'eucarestia così partecipata e così ricca di gioia, gioia di pregare insieme Gesù! Abbiamo incontrato un significato nuovo della parola "cantare". Tutto attorno a noi si udivano sì canti di inno a Dio, ma non canti sussurrati o recitati timidamente, come tante volte ci era capitato di sperimentare nelle nostre chiese, bensì canti vissuti con un entusiasmo che mai nessuno fra noi aveva sperimentato prima: se la messa deve essere una festa in cui incontri Dio, oggi abbiamo vissuto la festa più bella della nostra vita!
Anche noi - come gruppo di italiani - abbiamo portato un (piccolo) contributo canoro a questa festa: Nitakwenta (un canto swahili che sorprendentemente non conoscevano e che hanno subito voluto imparare), l'Alleluja delle lampadine e Kumbaia. Ma i veri protagonisti di questa festa sono stati i bambini africani, che per ore ed ore hanno allietato la messa con canti e danze di rara bellezza. E' incredibilmente facile venire coinvolti, a livello di emozioni, da queste persone, infatti ad un certo punto esse sono venute a prenderci per mano e ci hanno portato di fronte all'altare a ballare insieme ad esse i loro balli tipici. Mentre i ragazzi del nostro gruppo erano impegnati a documentare l'evento (a parte troverete, al nostro ritorno, video e fotografie) le ragazze hanno ballato insieme alle giovani donne. Nella chiesa si respirava una gioia indescrivibile mentre i muzungu (i bianchi) stavano al gioco e si lasciavano coinvolgere dai ritmi africani.
Quando la messa è quasi finita, ci hanno dato il benvenuto ufficiale. Ci aspettavamo che avremmo dovuto di nuovo parlare in inglese di fronte a così tante persone, invece Padre Christopher ed i suoi collaboratori hanno preso dieci sedie, le hanno messe di fronte all'altare e poi ci hanno fatto sedere. Quindi, mentre i canti divenivano sempre più forti e coinvolgenti, la donna che due giorni fa aveva fatto, al nostro arrivo, il discorso di benvenuto, ci ha chiamati ad uno ad uno per darci un dono. Il primo fatto alzare è stato Serafino, seguito a breve da Renato e da Enrico: ai ragazzi la Comunità ha regalato un bellissimo vestito tradizionale africano (un mantello dai colori assai vivaci, fra cui spicca il rosso, più un bastone chiamato Chibunyo). Serafino, Renato ed Enrico sono quindi stati avvolti in questo abito tradizionale, muovendo a ritmo di musica il Chibunyo, mentre la gente applaudiva entusiasta. La cerimonia si è poi ripetuta per le ragazze, a ciascuna delle quali è stato regalato un pezzo di stoffa dai colori sgargianti, con delle frasi in lingua swahili, chiamato Kanga.
A questo punto si sono fatte avanti le donne anziane, offrendo il maziwa lala (che corrisponde al latte cagliato italiano) e l'ugali (polenta di colore scuro).
Dopo la conclusione della cerimonia, lentamente, stringendo decine e decine di mani, siamo andati sino in una delle classi della scuola lì adiacente a fare pranzo.
Concluso questo, Christopher ci ha detto: "Siete liberi di andare fuori, fra i bambini. Se siete stanchi, potete anche non andare". Noi siamo andati, ed è successo l'indescrivibile.
Ciascuno di noi è stato "adottato", o faremmo meglio a dire "rapito fisicamente", da un gruppo di bambini (40-50 a testa). Abbiamo risposto a tantissime curiosità sulla nostra vita e sul luogo da cui provenivamo; abbiamo scattato decine di fotografie, ogni volta mostrandole sullo schermo LCD (ed ogni volta ce ne chiedevano ancora una, ancora una...); sono letteralmente impazziti di gioia quando li abbiamo ripresi con la funzione video e si sono rivisti come in un film; ci hanno toccato in continuazione: ci hanno preso le mani, tenendole strette per non farci allontanare; ridendo hanno tirato alle ragazze i capelli, ai ragazzi i peli delle braccia, perchè loro non hanno peli e capelli così lunghi; ci hanno abbracciati, persino strattonati, seppur sempre con affetto, ci hanno dimostrato la gioia fisica di averci lì con loro. Mai nessuno di noi era stato così travolto da un altro essere umano, ed oggi ciascuno di noi ha ricevuto in dono 40-50 esseri umani a testa. Sono state solo 2 ore di incontro, ma 2 ore così intense che quando sono finite eravamo tutti esausti fisicamente, anche se con la gioia viva nel cuore.
Non sappiamo se con queste semplici parole siamo riusciti a descrivervi quello che abbiamo provato oggi, ma possiamo concludere il nostro racconto dicendo che qui in Africa si comprende il senso autentico dell'espressione "E' più bello insieme, un dono grande è l'altra gente".
In questi attimi in cui stiamo scrivendo, Christopher ci dice, a conferma di come tutto ciò sia stato reciproco, che le persone che abbiamo incontrato oggi hanno detto di noi: "Dio è venuto a stare in mezzo a noi".